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Lettera di un papà

By 5 Marzo 2010Settembre 8th, 2012Giornalino

E’ con grande piacere (e commozione) che pubblichiamo questo bel racconto, scritto da un papà che ha trascorso una mattina da ‘osservatore’ alla Casa dei Bambini… Il testo è sufficientemente eloquente, buona lettura!

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Ho deciso di farmi un regalo.
Voglio concedermi il privilegio di entrare con i miei occhi e con tutti i miei sensi dentro quel sogno per il quale ho consumato, in compagnia di molta altra gente, parecchi momenti e molti pensieri della mia vita recente. Fuori dalla Casa dei Bambini l’inverno regala piccoli e radi fiocchi di neve che cadono soffici e leggeri, imprevisti e benvenuti come questa mia mattinata.
Mi scopro un po’ nervoso, e non me l’aspettavo; pensavo all’imbarazzo che avrei creato ai bambini, non a quello che l’esperienza avrebbe creato a me. Forse è solo il nervosismo dell’attesa che si compia qualcosa di immaginato da lungo tempo; forse è il timore che immergersi nel sogno possa farlo svanire. Ho ordini precisi: sedermi su una sedia preparata per me e starci senza fiatare. Eseguo senza eccezioni, ma sul percorso cerco un bagno, e vorrà pur dire qualcosa.
Ora sono seduto e esploro la stanza con tutti i miei sensi. I bambini stanno lavorando, non c’è silenzio ma un tranquillo clima di operosità. Dietro di me una piccola biondina dipinge, e mi dispiace girarle la schiena; lei però sembra apprezzare e continua, affondata piacevolmente in quel morbido e lungo camicione imbrattato di tempera multicolore, con le guance rilassate e il pennello a caccia di idee ed emozioni. Davanti un’altra biondina infila perline in silenzio, guardandomi a tratti, sfuggente, con la coda dell’occhio per poi tornare subito al suo filo. Mi sta studiando, ma non vuole che me ne accorga. Accanto a lei, su un altro tavolino, un bimbo infila maccheroni, cantando piano un’aria che credevo conoscessero solo quelli come me, che hanno visto Sandokan alla TV quando ancora si doveva rubare il permesso di restare svegli dopo Carosello. Infilerà quei maccheroni per 40 minuti di fila, con qualche breve interruzione, sempre cantando sottovoce. Nel frattempo un gruppetto qua e uno là lavorano e giocano, commentando e facendo prove; due bimbe grandi fanno coppietta fissa, girando fra una postazione e l’altra con chiara complicità, e finiranno per sedersi insieme leggendosi a vicenda un libro.
Mi godo la possibilità di osservare senza intervenire; nessun bambino mi rivolge una parola, anche se tutti sanno che ci sono. Hanno i fatti loro da sbrigare; il principale sembra quello di avere a che fare più o meno serenamente con alcune regole della casa, che le educatrici mostrano in vari modi di voler ricordare a tutti, come riordinare i materiali dopo averli usati, non alzare la voce, rispettare e non interrompere  il lavoro degli altri. La biondina ora ha smesso di guardarmi, è stata aiutata a riordinare il vassoio delle perline e si è diretta decisamente verso un vecchio macinino del caffè. Lo osserva, lo muove, fa fatica, ma inizia a macinare. Un’altra bimba legge la difficoltà, le si avvicina e senza dire una parola le mostra come fare, poi la guarda un attimo affancendarsi e se ne va senza richiedere niente in cambio per quella piccola grande attenzione. La biondina tribolerà per un po’, ma le si legge negli occhi la gioia di fare quella fatica per portare, come dirà alla fine, il caffè macinato alla nonna malata  che oggi torna a casa dall’ospedale.
Alcuni maschietti sono un po’ agitati, gli ci vorrebbe un prato o un po’ di fango dove rotolarsi; forse più tardi. Non sono precisamente il ritratto del bimbo-Montessori-dedito-ai-materiali-in-pace-con-se-stesso, modello “libro di testo”; in generale vedo pochi affaccendarsi attorno ai famosi “materiali Montessori”, accidenti, che ci costano così tanto! Forse mi dico che è solo per stamattina; però gli angoli di vita pratica mi sembrano decisamente più frequentati.
Ora è il momento della merenda, il primo in cui il gruppo si raduna e una educatrice parla a tutti, mentre l’altra sbuccia arance e ne prepara fette per ciascuno. Poi si riprende il lavoro; qualcuno fatica a organizzarsi da solo, ma niente di offensivo. Un biondino in particolare oggi ha l’aria della sfida; che dire, tutti abbiamo le nostre giornate storte… Verrà preso in carico con discrezione da una delle due educatrici, ma a distanza, mai con la sensazione di essere preso in consegna.
I conflitti ci sono ma sono ridotti al minimo; stamattina non ne ho osservato uno solo fra i bambini, neanche per contendersi una matita. Anzi, a pensarci bene una volta un bimbo che stava incastrando figure geometriche, è stato interrotto da un altro che lo stava osservando e voleva dargli un consiglio, così lo ha richiamato con decisione: “Non voglio, questo è il mio lavoro!”.  Il conflitto, se c’è, mi pare si manifesti soprattutto fra i bambini e le regole da rispettare; quando è così, ho visto le maestre inginocchiarsi ad altezza di bimbo, richiederne lo sguardo, occhi negli occhi, e parlare diretto.
Mi impressiona la presenza delle maestre. Parlano costantemente piano, senza mai alzare la voce nemmeno quando sarebbe più che umano farsi scappare qualche tono acuto. Si muovono nell’ambiente con calma e decisione nello stesso tempo, fra di loro si intendono a occhiate e quasi senza parole. Hanno occhi dappertutto, ma lo fanno con calma, senza apprensione, o almeno così mi pare. Mi impressiona soprattutto la libertà e il benessere dei loro corpi nello spazio, che mi sembrano a loro agio, senza contratture, senza pose nervose o tensioni. C’è anche nei bambini,  almeno nella gran parte di essi, la stessa libertà e lo stesso benessere; sembrano muoversi come a casa loro.  C’è in tutto ciò che si dice e si fa una grande e manifesta chiarezza; un parlare ed agire diretto, chiaro e preciso, in una parola vero. Non si dice qualcosa per intenderne un’altra; nessun ricatto, neppure a fin di bene. Niente premi, niente punizioni. Non si parla in generale, a tutti per richiamare qualcuno. Anche in questo, a ognuno il suo. Ho visto una grande, grandissima pazienza; un saper aspettare, contare fino a cinque e pensare, prima di parlare ed agire. Non ho visto la perfezione, ma una sufficiente consapevolezza dei limiti propri e di quelli dei bambini, della gradualità con cui  questi si avvicinano “all’ideale”, e  la capacità di accettare tutto questo godendo lo stesso di ciò che di bello accade. Ho visto educatrici concentratissime, ma non stressate; il che mi pare già una lodevole eccezione rispetto alla media,  che mi hanno sempre fatto pensare a questa come ad una categoria da inserire fra i lavori usuranti da pensionamento anticipato.
Il pranzo a cui vengo invitato scorre tranquillo, non silenzioso. Mi pare un momento piuttosto intimo, in cui si libera la confidenza dei bambini, fra di loro e con le educatrici. Vi si possono catturare dialoghi lievemente surreali fra bimbi, come questo: “Eh, purtroppo io digrigno i denti di notte, e tu?” “Io lo facevo, ma adesso ho smesso…”. Quasi quasi mi mancano un po’ quelle scene da caserma in cui, ai miei tempi, ci si tirava il pane e si sentiva la maestra Ondina urlare di smetterla da un capo all’altro della mensa (per la verità eravamo anche un po’ più numerosi, ma ho l’impressione che il segreto non sia questo…). Qui invece si mangia la verdura prima del resto, e anche tanta; ci si versa con calma l’acqua, e si discorre della stagionalità dei cibi e delle loro proprietà nutritive. Manca solo che qualcuno si alzi a dire:”Ragazzi, io sono vegano, vorrei proprio ma le uova non posso…”.
Per me è ora di andare. Il bimbo che ha mangiato accanto a me mi lascia dicendomi: “E’ stato proprio un piacere che hai mangiato con noi”. Esco in fretta, forse un briciolo di commozione mi fa ritornare involontariamente nella mia iniziale consegna del silenzio e mi dimentico di salutare i bambini e le educatrici che mi hanno fatto questo regalo. Per fortuna ci pensano loro: il biondino che ha fatto per tutta la mattina la parte del tremendo mi saluta con un “Ciao, vecchio signore!”. Gasp!
Esco con la convinzione di aver visto un luogo adatto a crescere in serenità dei cuccioli d’uomo, e a far star bene persino gli adulti. In sostanza: non è ancora il Paradiso, però esiste davvero, è vicino a noi e l’ho visto con i miei occhi.  Scusate se è poco.

Roè Volciano, Casa dei Bambini, martedì 9 febbraio 2010

Un papà

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